L’attenzione al mondo, a certe condizioni

“Con tutti i device a disposizione, stiamo costruendo davvero una cultura della distrazione?”. Mathew Ingram, su PaidContent, se lo chiede in modo un po’ retorico. La sua risposta è, come sempre, un invito al buon senso.

Partendo dallo j’accuse di  Joe Kraus, partner di Google Ventures, Ingram ricorda che questo tipo di “bandierina”, dai toni più o meno allarmistici, viene sollevata spesso (il dibattito su quanto lo stato di connessione perenne ci renda incapaci di relazioni con gli altri nel mondo reale, si è sviluppato più volte attorno alle tesi della psicologa del MIT, Sherry Turkle).

Kraus sa bene che non è possibile cancellare l’orizzonte tecnologico in cui siamo immersi, ma suggerisce di prendersi di tanto in tanto una “pausa” da tutti quei dispositivi (smartphone, tablet, modem) che producono questo gap di attenzione: una camminata, un libro (a patto che sia di carta, altrimenti, dice, non sarebbe una vera pausa).

La verità, risponde Ingram, sta invece nello stato delle cose:  la tecnologia inevitabilmente ha cambiato – e sta cambiando – la società. Ma perché questo dovrebbe per forza indicare una perdita? Basta un po’ di moderazione.

Qualche tempo fa, Erik Sass, lo aveva spiegato con una sintesi , secondo me, immediata. Non è la tecnologia a essere antisociale – aveva scritto  – sono le persone a esserlo. “Se scegliamo di distrarci dal mondo che ci circonda è, appunto, una scelta, basata proprio sui nostri desideri e sulla necessità di sperimentare il mondo alle nostre condizioni”.

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