Quella piattaforma fu sottoscritta da una lista lunghissima di amministratori locali, consiglieri e parlamentari. Ma le premesse, che l’impegno preso avrebbe dovuto cambiare, restano attuali
La consigliera regionale di parità Ivana Pipponzi ha spiegato che solo il 32% delle donne lucane lavora. Il dato, ben al di sotto della media nazionale del 49% e minore persino di quella del Mezzogiorno pari al 36%, fa parte del report su un anno di attività dell’ufficio.
Nell’occasione, la consigliera ha lanciato un programma basato su un manifesto in otto punti intitolato “L’otto tutti i giorni”, «un vero e proprio patto per le donne», con le principali azioni per la parità, a cui istituzioni e organizzazioni sociali sono invitati ad aderire. Alcune sottoscrizioni ufficiali sono già arrivate, altre si aggiungeranno nei prossimi mesi.
In questi giorni mi è capitato di leggere un documento interessante. Si chiama La Carta di Basilicata ed è una piattaforma programmatica che la Commissione Regionale per le Pari Opportunità di Basilicata, all’epoca presieduta da Ester Scardaccione, ha elaborato in un lavoro collettivo tra le donne presenti nelle istituzioni. Era il 1997.
La piattaforma, la prima approvata dopo la Dichiarazione della Conferenza di Pechino, ambiva ad essere «un patto che le istituzioni devono apprestarsi a stringere con la rete delle donne che nelle tante ed articolate realtà hanno scelto di caratterizzare il proprio impegno, a partire dalla differenza di genere, per una nuova qualità della vita e per uno sviluppo equo e sostenibile della nostra Regione».

Il contesto di partenza in cui il programma aveva preso forma è parte integrante della piattaforma. Le donne che l’avevano elaborato partivano da alcune constatazioni. Per esempio, che «grave è la crisi occupazionale che investe la Regione Basilicata dove la disoccupazione assume il volto di donna, come è dimostrato dal 51% delle donne iscritte all’ufficio di collocamento sul totale degli iscritti.» Oppure che «bassa si rileva la qualità della vita in moltissimi paesi della Basilicata, segnati non solo da una scarsa infrastrutturazione, ma anche da ampie sacche di povertà».
Due anni fa, riconoscendone drammaticamente l’attualità nonostante il tempo passato, l’ufficio di presidenza del consiglio regionale annunciò di volerne ristampare un’edizione.
Quel patto, in premessa, era molto chiaro. Non si trattava di proporre l’istituzionalizzazione di trasversalismi, ma di pratica politica e risposte concrete ai bisogni.
«La Carta di Basilicata è stata costruita a partire da alcune questioni essenziali: la scarsa presenza di donne in campo istituzionale e il conseguente deficit di democrazia anche in Basilicata, la scarsa qualità della vita, le ampie sacche di povertà che avanzano incentivando lavoro nero e precario, la grave crisi occupazionale, la mancanza della prospettiva di genere negli atti di programmazione economica e territoriale intrapresi, la scarsità di relazione tra le varie realtà territoriali per l’estrema frammentazione del patrimonio insediativo, la scarsità di strumenti di informazione e di utilizzazione delle possibilità offerte dai fondi comunitari.»
La piattaforma voleva indicare una cornice precisa in cui inserire programmazione economica e strategia amministrativa: «uno sviluppo che rispetti l’ambiente, il diritto al lavoro soprattutto per le giovani generazioni, un tempo di lavoro che non sia punitivo nei confronti della maternità e dei diritti individuali, il superamento della povertà».
In particolare la piattaforma impegnava il Consiglio e la Giunta regionale a una risoluzione che, tra vari obiettivi, riconoscesse
«la necessità in Basilicata di una nuova progettualità dello sviluppo che potrà essere equo e sostenibile se porterà a sintesi la ricchezza delle diversità territoriali, se utilizzerà il paradigma della differenza, a partire da quella di genere, quale elemento ordinatore sia delle analisi dei bisogni, guardando alla reale condizione di vita di donne e uomini, che della costruzione delle opzioni programmatiche nell’assunzione dell’obiettivo principale di una migliore qualità della vita per tutti i cittadini».
L’impegno assunto sottoscrivendo il documento prevedeva
«l’acquisizione del principio che in ogni azione programmatica a forte valenza territoriale, dalla legge urbanistica ai piani territoriali, l’armonizzazione dei tempi di vita sia un elemento ordinatore capace di generare nuovi rapporti tra ambiente urbano, storia e natura e di garantire, soprattutto, che l’efficienza si coniughi sempre con l’equità».

L’invito era diretto, oltre che a tutte le elette, ai parlamentari europei, ai parlamentari lucani, agli amministratori locali (all’epoca l’84% della rappresentanza in Basilicata). A sottoscriverlo furono in tanti: a guardare la lista trascritta nell’ultima pagina del documento, la politica lucana era sul confine di un nuovo approccio di azione. I dati di questi giorni dicono che per molti settori la situazione si è cristallizzata all’epoca.
Era il 1997. Erano trent’anni anni fa.