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L’esercizio è imparare a scegliere che cosa tenere

9788807019425_quartaHo letto Mandami tanta vita di Paolo Di Paolo e ho deciso di scriverci alcune righe. Poiché mi sono accorta di aver avuto voglia di parlarne con diverse persone, mi sono detta che valeva la pena fissare quello che mi ha lasciato.

Mandami tanta vita è il racconto di un incontro desiderato, inseguito e poi praticamente sfumato tra un giovane aspirante disegnatore, pieno di attese, ma non di determinazione, e l’editore, Piero Gobetti, a cui vorrebbe dimostrare di saper combinare qualcosa.

Tutto si svolge nell’ultimo periodo di vita di Gobetti, tra Torino e Parigi, tra le lettere, la famiglia, le aspirazioni, il fascismo che avanza, la nazione che cambia. Moraldo vorrebbe sapere come diventare adulto, ma forse non sa come si fa. Piero adulto ci è già nato, ma non potrà diventarlo fino in fondo.

La parte che più ho amato del romanzo è la postfazione dell’autore che Di Paolo ha intitolato “il museo di un romanzo”.

Di Paolo, nell’edizione dell’Universale Economica Feltrinelli 2017, in questa postfazione spiega come ha ricostruito il contesto storico della vicenda: un periodo preciso, gli ultimi mesi di vita di Gobetti nel 1926.

Per farlo si è «inabissato», dice, in quel periodo. Ha letto documenti, acquistato manifesti, comprato cartoline, poster, giornali dell’epoca, diversi oggetti. Una ricerca durata tanto tempo, che ha prodotto molto materiale e di cui tra le pagine scritte resta molto, molto meno di quanto ha anche materialmente accumulato per imparare a descrivere quei giorni.

Che cosa resta di un romanzo che abbiamo scritto? Un file salvato nel computer, sì, e molti appunti: quaderni fitti di idee che avremmo voluto sviluppare. Molte la abbiamo dimenticate, perse di vista, tradite. Restano frasi su post-it gialli che sembrano indicazioni geografiche a vuoto. “Esuli di Joyce va in scena la sera del 14 febbraio 1926”. E allora? Allora un romanzo, qualunque romanzo, è sempre inferiore all’idea astratta che ne avevamo in partenza.

Il mio caporedattore diceva sempre che il difficile è togliere. Ci si affeziona alla storia, al personaggio, a una prospettiva. Tutto sembra importante. L’indagine su una storia ha una caratteristica: tende a diventare infinita, ad aprire una strada di ricerca dopo l’altra, a mettere davanti materiale, risposte e nuove domande. E a lasciare un archivio di materiale, anche fisico, che diventa un’appendice mai scritta della storia.

Alla fine l’esercizio è imparare a scegliere che cosa tenere.

Dalla parte del pubblico con il linguaggio

copertina robinson 26.02.2017Non è un caso se nel numero di Robinson dedicato alla crisi dell’italiano come lingua, parlata e posseduta, ci sono due articoli dedicati alla divulgazione della scienza. Il filo è sempre quello della comprensione: perché la comprensione sia possibile, tra i vari fattori utili al processo, lo sforzo del mittente è forse quello indispensabile (cosa che per i giornalisti segna la scarto tra il parlare agli addetti ai lavori e il rivolgersi ai lettori).

Oggi  nell’inserto culturale de La Repubblica il tema della divulgazione scientifica è affidato a un testo di Piero Angela e a un’intervista al fisico britannico Brian Cox, con testo di Luca Fraioli e illustrazione di Agostino Iacurci.

Piero Angela su Robinson

Dice Angela: «Oggi è estremamente importante divulgare cultura scientifica per capire le profonde trasformazioni che scienza e tecnologia stanno provocando in ogni campo. C’è però un problema: il linguaggio.»

L’intermediazione positiva legata alla spiegazione di fatti, dati o connessioni ha a che fare soprattutto con l’atteggiamento di chi parla.

«Divulgare vuol dire mettersi dalla parte di chi ti legge e  di chi ti ascolta. La scienza è piena di cose straordinarie  che si possono spiegare usando la creatività e immaginandosi le persone a cui ci rivolgiamo. Non esiste una formula del “saper spiegare” altrimenti tutti l’applicherebbero: l’unica regola è quella di essere dalla parte degli scienziati per i contenuti e da quella del pubblico per il linguaggio.» Facendo ricorso anche ad esempi, disegni, schemi e connessioni emotive.

Le parole di Cox – scienziato, divulgatore, autore di documentari per la BBC e protagonista di conferenze i cui biglietti muovono persino i bagarini – rafforzano l’idea che esista una via alla semplificazione corretta. «A chi mi dice: non è possibile insegnare a un pubblico generalista la relatività generale o la meccanica quantistica, io rispondo: allora non le hai capite abbastanza bene.»

Se la fisica delle particelle è diventata di recente un pezzo pop della cultura generale è perché la ricerca sul bosone di Higgs è stata trasmessa «con la storia del Large handron collider e delle persone che lì cercano di riprodurre le condizioni presenti nell’universo primordiale».

Allora è vero, di conoscenza c’è un gran bisogno; ma di conoscenza a me pare che in giro ci sia soprattutto una gran voglia.