«Ho scelto di dividere la famiglia» | La città delle donne #2

Quanto pesa la crisi di COVID-19 sulle famiglie monogenitoriali?

La nuova quotidianità di Elisabetta scorre in bilico tra la paura – quella interiore, verso il futuro – e una sorta “di stato di grazia” – senza dirlo troppo ad alta voce, però. L’emergenza Covid 19 le ha dato l’opportunità di godersi un tempo familiare, che è il tempo della giornata in casa con il figlio undicenne. Lavoro e compiti, film, cucina, lettura, dialogo, lavoro e compiti, cucina, film.

Elisabetta Pennacchia

«Questo è il buono che è arrivato e, onestamente, me lo prendo tutto». Una quotidianità diversa e per certi versi positiva che permette a Elisabetta Pennacchia, in amministrazione all’INPS, di dedicare tempo al figlio nella gestione delle cose normali. «Normalmente quando torno dall’ufficio, a pomeriggio inoltrato, lui ha già finito i compiti e la giornata pesa già così tanto, il tempo di cenare, andare a letto e si ricomincia. Ora ho la possibilità di spendermi anche nelle piccole cose, nella sciocchezza del potergli chiedere che cosa desidera per pranzo, oppure nel poter condividere tempo ad approfondire un argomento, a comprendere un tema più complesso».

Certo, poi c’è la paura che sta lì, sempre, con o senza epidemia. «E se mi ammalo io, che gli succede?» Solo che questo pensiero fisso, oggi assume altre declinazioni.

«In casa siamo solo io e mio figlio. Quando l’emergenza è cominciata ho deciso di separarci dai miei genitori, il cui appartamento, in tempi normali, è anche la nostra base logistica». I genitori di Elisabetta sono un pezzo della giornata, «ma ora ho deciso di spaccare in due il nucleo familiare sperando di abbassare le possibilità che qualcuno di noi si ammali». Eccolo, il peso emotivo.

«Ho deciso di rimanere da sola per una maggiore protezione, pur sapendo che, nonostante le precauzioni e un atteggiamento rigoroso, nessuno può togliermi dalla testa il timore, di ritorno dalla spesa: e se trasmettessi il virus a mio figlio? E se accadesse, chi ci separa? E chi ci tiene insieme?».

Il guadagno è in termini di tempo. «Anche per ragionare insieme su quello che sta accadendo, per capire che la crisi di ora è il preludio di un momento che forse sarà persino più difficile».

La fine dell’emergenza ne aprirà un’altra, diversa. «Non penso avremo poi così tanta voglia di abbracciarci, di accorciare le distanze che stiamo imparando a tenere. Questo sospetto verso l’altro temo ci resterà attaccato addosso». E il lavoro andrà recuperato, pratiche e progetti dovranno ripartire, accelerare.

«Questa emergenza ci ha restituito tempo, e spero saremo capaci di trattenerlo, di trattenere il valore di ciò che oggi ci manca, di ciò che davamo per scontato e scontato non è più. Io, per esempio, sento una potente e profonda nostalgia dei miei genitori, della quotidianità insieme, mangiare un dolce la domenica, guardarli in faccia. Ho paura che possa succedergli qualcosa e che io non possa fare niente, nemmeno rivederli».

Va tutto rivisto su possibilità e contesti che non avremmo immaginato. La scuola, per esempio. Impreparata, per la maggior parte dei casi, al netto delle buone intenzioni e delle distanze colmate dalle tecnologie. «La pratica, diciamolo, è un’altra cosa».

Oppure il lavoro. «Nella pubblica amministrazione questa condizione potrebbe davvero permetterci una valutazione su quali sono gli spazi e i processi da snellire, quali sono i progetti necessari e quali possono essere riformulati per snellire l’intero sistema». Da subito, si spera, appena tornati a un sentore del “prima”.

«Oggi ho scelto di decidere per tutta la mia famiglia, caricandomi la paura dell’intera filiera familiare, tagliando fuori dalla nostra vista affetto e aiuti concreto dei nonni. Ecco perché mi auguro che se le scuole dovessero continuare a essere chiuse, vengano proposte soluzioni coerenti per i genitori». Il tema sul tavolo è quella delle famiglie monogenitoriali, praticamente inesistenti nella programmazione delle politiche per la famiglia. Forse inesistenti in qualunque tipo di riflessione pubblica. Che cosa comporta? «Non posso ammalarmi, è semplice».

Foto di Ronny Overhate da Pixabay