L’impatto della crisi da COVID-19 sulle donne

Le donne , come già accaduto in altre epidemie, stanno pagando il prezzo più alto della crisi da COVID-19

Ogni crisi produce delle rotture imprevedibili ed impreviste. Ma a seconda della sua natura è possibile individuare categorie e gruppi sociali che ne pagano gli effetti più di altri. Altre crisi, invece, tendono a replicarsi, seppur in modalità e gradazioni differenti. Sta succedendo di nuovo oggi, con la pandemia di Covid-19.

Nonostante ci stiano dicendo che dal punto di vista epidemiologico il virus SARS-CoV-2 le colpisca in maniera minore, sono le donne a pagare il prezzo complessivo maggiore dell’emergenza.

La rivista scientifica The Lancet la settimana scorsa ha pubblicato un articolo firmato da Clare Wenham (London School of Economics and Political Science), Julia Smith (Simon Fraser University) e Rosemary Morgan (Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health) intitolato Gli effetti di genere dell’epidemia.

Il passaggio chiave è il seguente:

«Data la loro interazione in prima linea con le comunità, è preoccupante che le donne non siano state completamente integrate nei meccanismi globali di sorveglianza, indagine e prevenzione della salute pubblica».

Lo studio recupera i risultati delle indagini svolte su epidemie precedenti, come quelle di Ebola, Zika o SARS. Le scelte politiche strategiche che non tengono da conto la specificità, biologica e sociale, continuano a replicarsi.

Le donne sono ovunque la quota di popolazione che ha il carico della cura informale delle famiglie e che paga in maniera maggiore le misure destinate a fronteggiare l’emergenza: con scuole chiuse e sevizi assistenziali ridotti al minimo, finiscono per farsi carico più del solito della gestione di bambini, anziani, malati. Durante l’epidemia di virus Ebola, nell’Africa occidentale, le donne furono maggiormente esposte al virus proprio per il ruolo predominante di caregiver all’interno delle famiglie e di operatrici sanitarie di prima linea.

Durante le crisi, inoltre, è generalmente più difficile l’accesso a servizi sanitari e di sostegno specifici di genere, dalla contraccezione all’aborto, a un accompagnamento adeguato nella gravidanza. Aumenta inoltre il rischio, soprattutto per le donne in condizione di difficoltà sociale, culturale ed economica, che crollino anche le azioni di prevenzione dedicate alla salute dei bambini.

Nella maggior parte delle comunità sono le donne il veicolo delle informazioni sui comportamenti da seguire per prevenire il contagio. Ma nella maggior parte dei casi, non sono le donne a gestire a livello centrale la comunicazione e la selezione delle informazioni da trasmettere.

Ancora oggi, alle donne che operano sul fronte sanitario o dell’assistenza sociale viene chiesto di fronteggiare l’emergenza senza tenere conto delle loro specificità.

Il Rapporto sull’epidemia di Covid-19 e il genere pubblicato dal gruppo di lavoro per Asia e Pacifico dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) ricorda che le donne rappresentano il 70% dei lavoratori nel settore sanitario e sociale a livello globale e sono in prima linea nella risposta. All’interno di questo settore, esiste un divario retributivo medio di genere del 28%, che generalmente si acuisce in tempi di crisi.

Per le donne vittime di violenza, le misure restrittive – costrette a casa con uomini oppressori o rimaste prive di supporto legale o psicologico – sono un rischio per la sicurezza tanto quanto il possibile contagio.

Colf e badanti, fornitrici della forma più diffusa di welfare privato e quota rilevante dell’economia sommersa del Paese, si sono ritrovate a dover scegliere tra perdere il guadagno o continuare a muoversi tra varie abitazioni, rischiando malattia e sanzioni.

Per non parlare del carico mentale da assumere quando la “possibilità” di lavorare a casa – o il dramma dell’aver perso il lavoro – coincide con l’organizzazione e la gestione di una vita domestica compressa in ogni spazio di libertà.

L’elenco è lungo, diversificato per ambito sociale, lavorativo, età, condizione economica, educazione, luogo di nascita.

«L’esperienza derivante da epidemie passate – dicono le tre ricercatrici su The Lancet – mostra quanto sia importante saper integrare un’analisi di genere negli sforzi di prevenzione e di risposta, per migliorare l’efficacia degli interventi sanitari e promuovere obiettivi di equità di genere e di salute».

Poiché alle donne dal punto di vista sociale sono ancora oggi prescritti tutti i principali compiti della cura, si trovano in una posizione privilegiata «per identificare le tendenze a livello locale».

Il documento del gruppo di lavoro della OCHA ricorda come solo una raccolta dati disaggregata e che tenga conto di specificità (genere, età, disabilità, etc…) possa generare una lettura capace di interpretare quanto accade e costruire future strategie preventive adeguate.

Ad oggi, tuttavia, basterebbe cominciare a programmare azioni che tengano conto del contesto reale, incorporando le voci delle donne in prima linea in questa emergenza nella costruzione delle politiche di risposta.

Foto di Willfried Wende da Pixabay