La diversità, ormai lo sappiamo anche oltre l’adagio popolare, è un fattore positivo.
E se c’è uno spazio in cui la diversità può vedere moltiplicato il proprio valore, è la città.
La contaminazione – tra idee, saperi, conoscenza, esperienza – è un fattore di crescita per le comunità.
In ambiti dimensionati a livello di metropoli, in generale a maggiore densità abitativa, la spinta è alta: se le persone (con le loro idee) sono nodi di una fitta (e potenziale) rete di relazioni, maggiore è il numero di nodi, maggiori sono le interazioni possibili.
La città, miscuglio ad alta densità di storie ed esperienze, permette che la contaminazione avvenga in maniera un po’ casuale, spesso imprevedibile.
In questo modo l’ambiente città sostiene la creatività e l’innovazione meglio di qualunque altro spazio costruito per sviluppare collaborazione e scambio.
Lo spiega così Roger Wu, fondatore di una piattaforma per la sponsorizzazione dei contenuti, in un post ospitato su Forbes: Why city life boosts creativity and startup success.
«La diversità è estremamente importante – dice – . Quando è possibile ottenere diversi punti di vista sullo stesso argomento a partire dalle chiacchiere caotiche della gente, ci si può imbattere in un risultato sorprendente.»
È un po’ come avere a cena almeno dieci persone che si occupano di cose diverse: è difficile che non esca almeno uno spunto interessante durante tutta la conversazione.
La metafora e l’intero ragionamento di Wu sono sviluppati con riferimenti a città di grandi dimensioni, a realtà produttive e sociali molto vaste.
Ma credo che il principio funzioni sempre, anche in città più piccole.
Quello che mette in circolazione soluzioni e scoperte è l’occasione dell’incontro tra le persone e i loro saperi.
Mi vien da dire, così a caldo e senza ragionarci troppo, che il principio regge a maggior ragione nelle città più piccole. Perché è verso che in una metropoli sei molto più esposto alle diversità, ma è anche vero che in una metropoli c’è massa critica sufficiente per creare innumerevoli microcomunità di persone omogenee per per interessi, specializzazioni e sensibilità. Non necessariamente chiuse, ma magari un po’ filterbubbled, come dire. Nelle città piccole molto meno. Nelle città piccole, dove certo la cultura della diversità è meno valorizzata, hai molte meno opportunità di rifugio tra i tuoi simili e sei più che mai costretto a negoziare legami di comunità con persone diverse da te. Soprattutto in periodi di crisi, in cui sei costretto a fare l’appello delle competenze e delle energie disponibili.
Sono ignorante in materia e non ho dubbi che emergerà da questa mia rapida considerazione. Se la varietà culturale è un valore, e se dalla disomogeneità può nascere per serendipia qualcosa di originale, il caotico mondo metropolitano attuale offre disvalori e disinformazione in quantità intollerabile. Disvalori della cultura prevalente che si amplificano nel desiderio di essere parte di un esteso gruppo sociale. La paura di essere un atomo conduce a fare di tutto. Anche essere parte di un gruppo che si distingue per volere trasgredire la cultura prevalente, appoggia le proprie credenze su informazioni pari a leggende metropolitane (mi riferisco alla controcultura).
La mancanza di conoscenza si traveste di sapere, ma è la mancanza del dubbio che mostra tutto il vuoto e la solitudine che ci circonda anche se stretti nella moltitudine cittadina. Sembra rappresentabile con la curva a campana di Gauss: l’apice è stato raggiunto molto tempo fa e ormai siamo prossimi nuovamente all’ascissa.
Come azienda con esperienza in grandi centri (Roma) e piccole città (Terni) notiamo che la diversità ci attrae e ci stimola. Ci attrae perché è motore di idee e continuo confronto (anche se lì per lì sembra che non abbiamo concluso nulla invece poi s’intravede sempre un progetto o le basi per lo stesso) e ci stimola perché è solo l’interazione che ci ha portato dove siamo ora e che continuerà a farci crescere. Chiusi nel nostro ufficio non siamo niente insieme con gli altri diventiamo grandi.
Sono d’accordo con te Sergio. La difficoltà (la sfida?) nelle piccole città è proprio costruire un ambiente in cui la negoziazione diventi collaborazione. In una piccola città l’innovazione credo passi da qui, dalla capacità di tutti – amministratori, cittadini, giornalisti, professionisti – di riconoscere il valore negli altri e trovare una via per metterlo in connessione. Magari ne esce qualcosa di buono. Lo so, non è semplice.