«Senza rete, il Paese è cresciuto finché ha potuto. Logistica e infrastrutture sono centrali nella vita quotidiana dei cittadini e delle imprese. È il costo della tua bolletta a fine mese. È la puntualità del tuo autobus, il costo del tuo biglietto aereo, la tua libertà di fare un progetto e contare sul resto del paese. Senza rete, è dura.»
Sta tutto qui l’approdo di un percorso che Beniamino Pagliaro ha fatto nella rete (con ancora pochi snodi connessi) dei collegamenti italiani.
Senza rete. Infrastrutture in italia: cronache del cambiamento è un libro che spiega a che punto siamo. Con uno sfondo continuo che sa di amarezza, quella che viene dalla consapevolezza di certe occasioni sprecate per la crescita.
Senza rete è un po’ cronaca, molto inchiesta, per metà ritratto. Con tanti dati, cifre e numeri mescolati a interviste, fatti e fermi-immagine della storia recente di un pezzo importante dell’economia italiana e della quotidianità di tutti noi.
È una delle cose più difficili per un cronista: raccontare, spiegando anche con i numeri, e farlo senza annoiare, o confondere.
«I numeri – scrive Beniamino – aiutano se poi siamo in grado di farli correre, ci provocano ansia crescente se rovesciati ancora una volta sull’affaticata visione di un lunedì mattina».
I numeri nel testo sono quelli dei collegamenti, degli aeroporti lontani, dei binari familiari ai pendolari, dei porti sconosciuti, delle autostrade disseminate di cantieri, di Internet inaccessibile in alcune zone del Paese. Sono i numeri dei lunedì mattina di tutti noi.
Vale la pena leggere Senza Rete per andare un po’ più in là dei «virgolettati del genere» sui treni in ritardo e le grandi opere inutili.
Vale la pena per ricordarci che la connessione di un territorio significa farlo viaggiare più veloce. Significa invogliare le aziende a restare, le comunità a scegliere servizi sostenibili, significa evitare sprechi di risorse, e sprechi di idee.
Per scoprire – soprattutto leggendo qua a Sud della terza corsia dell’A4- che i paradossi, gli errori e le lungaggini nei progetti pubblici non sono solo corollario del dibattito sul Mezzogiorno.
Per uscire da un dibattito su opere più controverse, come nel caso della Tav, fatto spesso di fronti. Certe volte, invece, i numeri e una buona analisi del territorio aiuterebbero a capire se ne vale davvero la pena.
C’è un principio generale affidato nel libro alle parole di Andrea Boitani, docente all’Università Cattolica di Milano.
«L’idea che sia l’infrastruttura a creare la domanda – dice il professore – è un’idea molto discutibile. Sul servizio si può fare il tentativo, può essere costoso ma ragionevole. Sulle infrastrutture è diverso: se sbaglio graverò sulle prossime generazioni.»
Sulle carenze infrastrutturali l’Italia paga un prezzo che è innanzitutto sociale. Perché, ancora una volta, è il costo di una innovazione mancata, in modo costante.
È un costo caricato sulle nostre quotidianità e sulla possibilità di programmare o progettare le nostre vite.
Così, ha ragione Beniamino: «Il costo dell’innovazione è nel pensiero (nel tempo di pensare), nel collegare i punti, non nel possederli.»