
«Io non ho mai pensato di poter fare altro. Io e la libreria. Qui dentro riesco a essere me stessa, e a crescere».
Già nel primo dei numerosi DPCM (Decreti del presidente del Consiglio dei Ministri) che avrebbero modificato le nostre vite per l’epidemia di COVID-19 era contenuta l’indicazione che Fabrizia Gioiosa non aveva mai messo in conto: chiudere Kiria, la sua libreria, incastonata da alcuni anni in viale Dante.

«Ne ho capito il senso, ma quel provvedimento mi ha catapultato in una condizione che non avrei mai immaginato di dover affrontare. La mia routine è stata completamente stravolta. Mi ha destabilizzata non avere orari da seguire, pacchi da ricevere, libri da smistare o scaffali da sistemare».
Poi è subentrata la razionalità: tanto, tantissimo tempo a disposizione. «Ho deciso di dedicarmi a quelle attività che nella frenesia di tutti i giorni erano diventate marginali. Ovviamente ho fatto scorta di libri!».
Solo che il tempo ha un problema: per quanto scorra regolare, non è mai uguale a se stesso. L’angoscia sta lì, si fa viva quando vuole. «Nessuno sa davvero quando tutto questo finirà, quando e come potremo tornare a lavorare». I timori sono quelli di una piccola impresa, di un’attività indipendente: conti, fornitori, bollette, le scadenze varie da onorare.
«È bello lavorare in proprio, ma c’è un’unica regola in vigore, ed è implacabile: se non lavori non guadagni e nessuno ti garantisce niente. Niente malattia, niente ferie pagate, niente permessi, niente…».
Come un’equazione che risuona in testa, questa sì lineare e sempre uguale.
Una situazione di totale incertezza che aggiunge nuova difficoltà al contesto già precario delle librerie indipendenti.
Dopo i primi giorni, Fabrizia ha messo in atto la sua piccola strategia di sopravvivenza. «Ho deciso di darmi da fare e cercare un piccolo rimedio, proponendo la consegna a domicilio tramite spedizione, anche in tutta Italia se necessario. Mi tengo impegnata e rendo un servizio a mio parere essenziale alla società». Una risposta anche alla formula tecnica del decreto che, «nell’eccezionalità dell’emergenza, ha relegato i libri nella grande categoria di “beni non strettamente necessari” alla cittadinanza».
«La libreria resta invece un fondamentale punto di ritrovo, un presidio culturale e di vita. E non solo la sola a pensarla così: ho scoperto una grandissima solidarietà fra le librerie di tutta Italia che si sono unite per non abbandonare i propri lettori e gli editori, pure questi ultimi in difficoltà fra presentazioni cancellate e nuove uscite rimandate. Vedo e vivo questo grande supporto della rete indipendente».
Da qualche giorno ha riattivato anche gli appuntamenti di lettura collettiva, spostati per necessità in videochat di gruppo.
E il dopo? È un appello alla comunità locale, per contrastare un orizzonte di distopia. «Il dopo per me coincide con un invito alla mia città a non abbandonare i negozianti locali, magari per inseguire piccoli sconti negli store online. Ciò che stiamo vivendo oggi potrebbe essere la normalità fra qualche tempo: città vuote attraversate soltanto dai corrieri che consegnano continuamente merce, forse presto anche loro sostituiti da droni per massimizzare i guadagni e minimizzare attese e spese. Quartieri fantasma senza più vita, in città morte e isolate».
Meglio di no. Riavvolgiamo e ripartiamo. Il dopo? «Ritorniamo tutti a godere della nostra città e dalla nostra libertà senza darle mai per scontate. Da un’emergenza tanto grave potremmo tutti cogliere un grande insegnamento».
Foto di JULIO VICENTE da Pixabay