Appunti sparsi portati via da #ijf14 e quotidianità

gingrasIn uno spazio come il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia puoi ascoltare tanto, scoprire, incuriosirti e incontrare chi raramente avresti modo di incrociare altrove.

E accade di tornare a casa con parecchie riflessioni, nella maggior parte dei casi dubbi. Che poi è il modo migliore che ho per continuare a cercare una via in questo mestiere che mestiere non è più, non come ce lo hanno fatto conoscere almeno.

Così, provo a mettere insieme un po’ di idee – disordinate, molto – su cui in questi giorni mi sono fermata a riflettere o chiacchierare.

Il giornalismo locale

Credo sia uno degli spazi più genuini dello sforzo di innovazione e cambiamento che l’informazione sta facendo.  È nelle redazioni di periferia che la lotta perenne contro piccoli numeri, risorse, tessuto locale si risolve in una continua ricerca di soluzioni, spesso casalinghe, quasi mai efficaci, improntate al prova-sbaglia-impara-risbaglia.

È il giornalismo locale quello che può misurarsi fino in fondo nella relazione con un pubblico che non è mai solo fruitore, ma sempre nodo di comunità territoriale.

Il giornalismo locale, tra mille difficoltà e il triplo degli errori, resta per me uno spazio di speranza.

I dati e la collaborazione

C’è una grande consapevolezza rispetto alla necessaria collaborazione tra professionalità diverse in una redazione. Ce n’è molta attorno alla voglia e all’esperienza che si muove nel giornalismo dei dati. C’è da studiare, sporcarsi le mani, provare, prendersi tempo. La sfida in quelle prove è recuperare contesto,  per poter così cavare da microinformazioni storie che abbiano interesse per i cittadini.

L’etica e la deontologia

L’avanzata del digitale non credo abbia cambiato i principi generali che dovrebbero muovere la professione. Ma tecnologia, canali e tempo hanno stravolto vecchi modelli di azione a cui eravamo abituati.

È cambiata la percezione di che cosa è pubblico e che cosa no. Possiamo coprire distanze lunghissime e registrare conversazioni lontane. Troviamo nel nostro stream quotidiano il personaggio di città che ci è amico e che per un caso diventa protagonista della cronaca: noi abbiamo lì, davanti, informazioni, foto, vita. Come ci comportiamo?

Per questo mi piace l’iniziativa dell’Online News Association che propone di costruire in modo aperto una sorta di codice etico personale, un mix di buone pratiche, approccio consapevole, norma. Si può partecipare qui: Build your own ethics code

La responsabilità, sempre

C’è una responsabilità che riguarda i giornalisti più di altri, ed è quella del linguaggio. È la responsabilità del come si raccontano le cose, del come si approfondiscono. Che poi è la responsabilità della scelta.

Un momento come il confronto che si è sviluppato nel panel Hate speech e libertà di parola è due volte importante. È utile per ripeterci che alcuni fenomeni della nostra quotidianità, quella che collassa continuamente in un vissuto unico online e offline, vanno affrontati a partire dall’educazione, non dalla norma.

Ma a me è servito a ricordare che in quel percorso di educazione conta anche il modo con cui, da giornalisti, scegliamo di raccontare e divulgare.  Magari, stando un po’ più attenti alla fragilità delle cose.

Gli algoritmi

Facciamo fatica ancora a capire come costruire e far circolare le nostre storie (non le notizie, quelle non spetta più ai giornalisti farle circolare). Facciamo fatica a familiarizzare con nuovi modelli di relazione con il pubblico, con i cittadini.

Ma così facciamo fatica a immaginare come sarà di qui a poco, come sarà una realtà che già comincia a parlare non solo alle persone.

Ascoltando Richard Gingras (qui il suo keynote speech) mi sono ripetuta che dovremmo familiarizzare molto di più con l’idea (e la pratica) degli algoritmi. Dovremmo farlo soprattutto da giornalisti, che di come si costruisce un racconto del mondo abbiamo un pezzo di responsabilità.

 

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