Con metodo da comunità

Siamo arrivati forse ad avere qualche consapevolezza «dopo questi mesi di esperimenti e ragionamenti sulle dinamiche iperlocali».

E la sensazione è che più ne discutiamo, più lo scenario si sviluppa come un progetto aperto.

Sergio ne disegna la prospettiva. «È che non ne verremo mai a capo se continueremo a fare i giornali come li stiamo facendo, ad amministrare le istituzioni come le stiamo amministrando e, soprattutto, se continueremo a essere cittadini come lo siamo oggi.»

È un problema di bilanciamento: oggi abbiamo cittadini capaci di fare massa critica, pronti a scambiare idee, in grado di accedere a diversi strumenti per la condivisione. Ma ci manca la capacità di costruire processi di partecipazione allargata e dal basso. Non sappiamo ancora farlo.

Abbiamo così bisogno di esperienze collettive e condivise che costruiscano modalità funzionanti (prima ancora che funzionali) di partecipazione. È questione di un’urgenza avvertita: in cerca di metodo, conoscenza e validazione.

Serve una pratica di archiviazione e condivisione della conoscenza del contesto locale che metta le informazioni a disposizione di tutti.

Serve poter verificare continuamente quelle nozioni. Sarebbe la premessa per un dibattito di comunità consapevole, indirizzato da dati reali, senza il rischio di giudizi viziati da scelte di parte o semplici ricordi sbagliati.

Serve, prima di tutto, però, un metodo. E non resta che tararci dal basso.

Del resto, che l’imposizione dall’alto di principi di condivisione non funzioni più, è evidente già da un po’. Lo è nell’implosione della tradizionale dinamica da rappresentanza politica. Lo è nella morsa in cui sono strette le amministrazioni locali, tra vincoli finanziari e incapacità di risposta alla cittadinanza. Diventa evidente sempre di più nella selezione dei contenuti che ciascun lettore insegue con strumenti e logiche personali, a dispetto della resistenza delle vecchie organizzazioni di notizie.

Così la circolazione di informazioni diventa tutta questione di responsabilità. Di ciascuno. Dei giornalisti di comunità in primo luogo.

Per questo, credo, ci dobbiamo concentrare parecchio anche sulla portata dell’idea di comunità: uno spazio in cui si negoziano continuamente bisogni, dove cambiano continuamente le priorità. Compresa quella della narrazione.

A Potenza stiamo sperimentando uno spazio di suggerimento dal basso delle idee per la città. Il primo effetto visibile del modello PotenzaSmart è che il coinvolgimento propositivo e paritario apre immediatamente la strada a ulteriore partecipazione. E ci si confronta secondo regole costruite per prassi positiva, che abbracciano toni, contenuti, presenza nel gruppo.

Durante la conferenza dello scorso febbraio, quando PotenzaSmart è stata un’occasione per discutere di piccoli centri, futuro e smart city, Giovanni ha ripreso l’idea delle possibilità che le connessioni regalano alle comunità. «Oggi partecipiamo al racconto collettivo di un territorio. E capita che la somma di voci cambi la narrazione di un luogo.»

A beneficiarne, nonostante la fatica richiesta in termini di attenzione e presidio, è soprattutto la relazione tra amministrazione e cittadini, tra contesto e comunità. A quel punto è più facile anche costruire il “dove andiamo”. Soprattutto costruirlo tutti insieme.

 

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