Personalissimo resoconto dell’assemblea dell’Ordine dei Giornalisti

Domenica scorsa ho partecipato all’assemblea dei giornalisti iscritti all’Ordine della Basilicata. Non è stata la prima volta in cui ci sono andata, ma per la prima volta ho capito di esserne uscita con un sentimento diverso.

Fino a poco tempo fa, diciamo fino a quando ho potuto fregiarmi, se non altro per età, del titolo di appartenente alla nuova generazione di giornalisti lucani, ho vissuto questi appuntamenti come un inutile rituale. Mi faceva rabbia notare la platea invecchiare, mi sentivo poco rappresentata ascoltando appelli all’unità e alla solidarietà della categoria, mi sentivo fuori luogo. Temi e problemi ripetuti, dobbiamo cambiare, del resto è cambiato il mondo. Mi sembrava un ritornello stanco, trovo che lo sia tuttora.

Domenica però ho riconosciuto un sentimento brutto, ma che mi riguardava profondamente: mi sono sentita ingiusta.

Perché in tutti questi anni non sono intervenuta? Perché non ho condiviso il mio punto di vista su come si vive oggi l’appartenenza alla categoria che raccoglie chi fa (o aspira a fare) il mestiere più bello del mondo?

Da tempo, a ogni appuntamento dell’ordine, ai corsi di formazione e a ridosso delle elezioni, incrocio colleghi, come me freelance, o che si sono riconvertiti, o che hanno un approccio al giornalismo diverso da quello con cui abbiamo cominciato anni fa. Ma resta tutto lì, in qualche discussione un po’ rabbiosa, un po’ demoralizzata, l’ordine va ripensato, i giornali sono in crisi, il digitale non paga, le generazioni che ci hanno preceduto hanno mangiato tutto, la categoria si è rintanata nella torre d’avorio. E io? Non ho mai utilizzato un luogo pubblico come l’assemblea dei colleghi per dire qualcosa. Ed ho sbagliato.

Perché la verità è che finché l’ordine dei giornalisti ci sarà, ho il dovere di crederci e di agire perché migliori con me dentro.

Sia chiaro, sono fermamente convinta che il concetto stesso di appartenenza all’ordine vada riformulato, che la nostra professione non sia certificata da un esame di Stato o da un tesserino, che la rete e il digitale sono la più grande occasione di questo tempo se vuoi fare il giornalista, che i social network non ci hanno rubato il mestiere, ma siamo noi ad aver perso autorevolezza.

Ma allo stesso tempo so che finché l’ordine ci sarà, è mio dovere rispettarne i principi e le regole, magari segnalando quello in cui non mi ritrovo, ma provando a dire qualcosa che abbia il portato di una proposta, che sia capace di spiegare perché c’è ancora spazio per l’entusiasmo.

Ecco allora che un paio di cose ho voglia di dirle, provando a recuperare qui l’incapacità di non aver colto l’opportunità di confronto che quell’assemblea, in qualche modo, rappresenta sempre.

  • Pagare la quota di iscrizione non è facoltativo. E al netto delle difficoltà dei singoli (ma in questi casi so che l’Ordine di Basilicata sa trovare il modo di sostenere chi ha bisogno di tempo), la quota associativa è un dovere verso noi stessi e verso gli altri. Se non bastasse l’onòre sbandierato dell’essere nell’elenco dei giornalisti, se non bastasse il titolo da inserire nel curriculum, se non bastasse l’idea di essere parte di una comunità, allora basti ricordare che la tessera dell’ordine ci permette di entrare gratis nei musei nazionali: non è una cosa scontata, è un regalo di cultura, è un privilegio che solo a noi è concesso.
  • Mi piacerebbe che questo post venisse preso per quello che è, una riflessione sulla consapevolezza di voler ragionare molto di più a livello locale su come questa professione è cambiata e su come possiamo davvero costruire una rete di relazioni, supporto, studio, futuro. Perché è a livello locale che il giornalismo può fare piccole grandi cose.
  • L’ordine dei giornalisti di Basilicata ha al proprio interno risorse umane preziose e gli organismi che tutti noi abbiamo eletto fanno un lavoro importante, tra mille difficoltà e regalando tempo, molto tempo.
  • Continuo ad avere molta voglia di incontrare altri giornalisti da cui imparare a pensare e con cui osare, qui in Basilicata. E no, non è un tema di età.

[Postfazione: le elezioni dell’ordine fortunatamente si sono svolte da poco, quindi no, questo lungo pensiero non è assolutamente un manifesto :)]