Sono convinta che i luoghi vadano esplorati, e non giudicati.
E credo che l’esplorazione sia la via migliore della conoscenza.
Quando sono in un posto nuovo – ma vale anche per il mio posto abituale – mi piace che a raccontarmelo siano quanti lo hanno attraversato e scoperto prima di me. Meglio se mezzi stranieri, o residenti che hanno la capacità di applicare lo sguardo da fuori.
È quello sguardo speciale, di chi ti ti introduce ai luoghi e te ne fa amare i dettagli, non i panorami.
Ho ritrovato traccia di questa sensazione in uno dei testi raccolti da Vittorio Gregotti in 96 ragioni critiche del progetto. La sua idea di sguardo dello straniero è racchiusa in una lettera indirizzata a Wim Wenders:
«Credo che per conquistare un luogo, una città o un paesaggio al nostro animo prima ancora che all’architettura abbiamo bisogno di due cose: che in quel luogo (o con quel luogo) si lavori concretamente e non solo lo si visiti e che qualche Virgilio ci introduca, ci accompagni, ci aiuti. Altri che, come noi e prima di noi, abbiano frequentato, interpretato, amato quel luogo. (…) Parlo proprio di quegli stranieri al luogo ci hanno fatto da traduttori, da tramite, lungo un percorso che essi stessi avevano compiuto per conoscere.»