Ci sono cose di cui non occuparsi

In redazioneQualche giorno fa su R2 c’era un estratto di un’intervista a Jürgen Habermas su democrazia, filosofia e il mondo accademico che guarda alle cose.

Nello spiegare il contributo che Internet può apportare alla democrazia («l’innovazione dei media non crea automaticamente progresso nella sfera pubblica», dice) richiama il ruolo del giornalismo.

Ormai interessi, temi e notizie si mescolano e moltiplicano all’inverosimile, e spesso manca «un collante inclusivo». Per questo, dice Habermas, «non dovrebbero andare perse quelle competenze del buon vecchio giornalismo che oggi sono non meno indispensabili di ieri».

Mi è tornato in testa un pezzo  di qualche settimana fa. Jeff Israely, fondatore di Worldcrunch, ha provato a ragionare su come un giornale dovrebbe scegliere di che cosa occuparsi, sempre in bilico tra fidelizzazione del lettore e bisogno di monetizzare l’attenzione, mediando tra «pubblico interesse e interesse del pubblico».

«Come direttore di un piccolo sito di notizie che copre il mondo intero, il mio compito giornaliero più importante è identico a quello dei direttori di una volta: decidere quale storia raccontare, quali temi approfondire, scegliere i toni, fare le scelte giuste, rendere il giornale armonioso». Di più, c’è la necessità di scegliere «quali nuove forme usare per diffondere un contenuto».

Il punto: da dove si comincia? «Spesso il punto di partenza è decidere di cosa non occuparsi. Chiedersi quanto ci si vuole allontanare da ciò che ti rende speciale».

La scrematura, ti insegnano quando cominci a scrivere, è il guizzo che distingue. Quando capita di dover cambiare all’improvviso l’organizzazione del giornale il mio direttore dice sempre: togliere è più difficile che aggiungere.

Non si tratta della capacità di sintesi, ma dello scegliere – e assumersi la responsabilità di quella scelta – che cosa valga la pena raccontare, approfondire, armonizzare. È quella cosa che consegna al giornalista ancora un posto nella relazione con il lettore.

C’entra, e molto, la qualità. «Il problema – scrive Emanuele Bevilacqua su Pagina 99 – è costruire il giornale in modo che non deluda le aspettative». La riflessione riguarda la prospettiva del mestiere: Stampa in crisi, la qualità è il futuro.

In quell’intervista,  Habermas, pungolato sulla complessità dei suoi scritti, spiega: «Io non ho mai avuto come obiettivo quello di raggiungere un vasto pubblico (…). Ciò cui io miro non è avere tanti lettori, ma far circolare determinate idee».

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