Il giornalismo di taglia longform

Medium, piattaforma editoriale del co-fondatore di Twitter, Evan Williams, ha acquisito Matter, un sito di informazione scientifica basato sul long form journalism.

Matter, che per un po’ non muterà la modalità di rilascio dei propri contenuti, garantisce ai lettori una storia al mese, scaricabile a 99 centesimi. Era nato, tra l’altro, con un’operazione di crowdfundig su Kickstarter, a cui aveva partecipato lo stesso Williams.

È interessante tornare indietro di qualche mese e sbirciare l’appello dei fondatori di Matter (Jim Giles, autore pluripremiato, e Bobbie Johnson, ex firma del Guardian, poi a GigaOM).  «Il web è il futuro del giornalismo, ma cerchiamo di essere onesti, il futuro non è all’altezza delle aspettative.»

Con il diffondersi del consumo iperveloce delle notizie, le testate – nella maggior parte dei casi impreparate a reggere il cambiamento di approccio all’informazione e travolte dalla spinta del digitale – hanno smesso di investire in tempo, accantonando le grandi inchieste, e cercando di coprire la realtà nell’immediato.

Matter, allora, nasce «per fare una cosa e farla eccezionalmente bene». Solo «una storia imperdibile a settimana», puntando su autori di rilievo, capaci di approfondimenti su tematiche di scienza e tecnologia. 

La premessa del progetto sapeva di consapevolezza: «Il buon giornalismo non è economico: ci vogliono tempo e soldi perché i giornalisti facciano quel buon lavoro.»

Medium nasce, invece, come una piattaforma per la pubblicazione condivisa dei contenuti. Il sistema è collaborativo, stringe gli autori attorno a un tema, consente l’approfondimento, permette l’accesso a idee di altri su un argomento di interesse.

La notizia dell’incontro tra le due piattaforme è stata ripresa da parecchi: ne parlano, tra gli altri, con molta enfasi News from journalismPoynter  e il Guardian.  L’avvicinarsi dei due progetti ribadisce, credo, un paio di cose importanti.

Mentre il giornalismo contemporaneo cerca una difficile strada alla sopravvivenza, le sperimentazioni coraggiose sembrano indicare tutte una via comune. Se la tecnologia ha reso praticamente nullo il costo della notizia e abbattuto il valore economico del suo consumo, non è finita la voglia di informarsi. E di farlo bene.

«L’articolo long-form – dice Johnson – non è solo un insieme di parole su una pagina. Si tratta di un certo approccio, di rigore e di profondità che le persone non trovano più nel lavoro delle grandi organizzazioni dell’informazione.»

L’idea della necessità di testi brevi in tempo di informazione veloce non è più così solida. Qualche tempo fa Pier Luca ha scritto un post in cui, soprattutto graficamente, riesce a spiegare questo errore. Nasce, dice, da una confusione di senso: Online storytelling e long form journalism.

Il lettore forse è disposto anche a  pagare quando percepisce la qualità di un lavoro di informazione importante, indipendente, che ha richiesto tempo e dedizione.

Difficile capire ora se questo modello sarà quello sostenibile. Ma nella trasformazione  radicale in cui si è trovato stretto il giornalismo, la qualità – piuttosto che la quantità – resta l’unico parametro ad avere ancora un valore spendibile.

E la qualità è data anche dalla profondità del racconto, dalla firma che lo offre, dalla capacità dell’autore di diventare garanzia. Anche – magari – in un lavoro collettivo, a più voci, di struttura di una storia, di un approfondimento. Qualcosa di decisamente più denso del semplice scorrere poche righe su una pagina.

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