«La dimensione della comunità e la frequenza della pubblicazione non dettano la qualità del giornalismo». Non direttamente, almeno, scriveva Steve Buttry qualche giorno fa, commentando il rapporto sul giornalismo post industriale di C.W. Anderson, Emily Bell and Clay Shirky.
La premessa dovrebbe essere una rassicurazione per il giornalismo locale: nel pieno del processo di crisi e riorganizzazione dell’informazione, resiste il bisogno di usufruire di un buon racconto della comunità in cui si sta. E lo si può fare anche in dimensioni iperlocali.
Sono altri, dice, i fattori che incideranno molto sulla qualità del giornalismo locale. In elenco mette anche il «talento e la determinazione di singoli giornalisti» e i vincoli dell’editore, dalla situazione finanziaria ai contratti sindacali.
Senza investimento in tecnologia (soprattutto di pratiche) e tagliando su risorse e persone, la qualità dell’informazione rischia di essere accantonata. Già ora, nei giornali locali, quotidiani o settimanali, la redazione è spesso tutta impegnata sulle scadenze dell’edizione da pubblicare, con poco tempo per ricerca, sperimentazione, approfondimento.
L’articolo di Buttry mette in fila un paio di osservazioni che nei giornali locali disegnano da tempo una difficile quotidianità. Il punto di partenza rimane la buona notizia di prospettiva: Size of community doesn’t affect quality of journalism.
Resta una consapevolezza, però, che attiene al cambiamento del giornalismo in generale, e non dipende dalle dimensioni delle redazioni o della comunità di riferimento. «Le redazioni – spiega Heidi Moore, prevedendo per il Nieman Lab che cosa accadrà nel giornalismo del 2013 – saranno sempre meno concentrate sulle notizie del giorno, gran parte delle quali saranno già state consumate nel giro di 24 ore, minuto per minuto, dal ciclo delle notizie.»
Piuttosto la redazione diventerà una sorta di laboratorio in cui pensare a «come presentare, illustrare e diffondere le informazioni chiave». Che sia successo in giornata o meno. Con i giornalisti non più pagati per gli scoop, ma per «contestualizzare le informazioni» e presentarle, meglio se su più supporti, nel modo migliore per il lettore. Nelle redazioni i ruoli di primo piano saranno tarati sui servizi interattivi, sulla comunicazione social, sulla programmazione, sui contenuti multimediali e l’assetto nei vecchi open space cambierà (dove non è già cambiato): Newsroom as war rooms.
Questa previsione non guarda a scenari lontani. Il cambiamento – che è cambiamento soprattutto culturale -è già in atto, anche se in un contesto di crisi e tra mille difficoltà, soprattutto a livello locale.
Nella sala operativa della Protezione civile della mia città, Potenza, c’è stampata sul muro una citazione di Patrick Lagadec, uno dei maggiori esperti di crisis management. «Per gestire una crisi occorre imparare rapidamente… Per imparare rapidamente nel corso della crisi è necessario avere già imparato molto tempo prima.» Vale nella prevenzione delle emergenze, mi sembra possa funzionare anche per il giornalismo.