Se il fact-checking si fa democratico

Secondo una consapevolezza diffusa, le tante notizie falsate (o, peggio, false) di cui veniamo a conoscenza testimoniano il declino dei tradizionali meccanismi di controllo del lavoro del giornalista.

Ma c’è anche una prospettiva che ribalta le ragioni della casistica di questa cattiva informazione.

Non si è spezzata la pratica del fact-checking. Piuttosto, suggerisce Greg Beato,  si è democratizzata. Di più, è nella sua epoca migliore (il titolo del post è indicativo: Welcome to the Golden Age of fact-checking).

Il post è lungo, ma è divertente seguirlo: l’autore dimostra attraverso casi concreti come sia spesso facile, nell’epoca del digitale, verificare il contenuto di certe citazioni sbagliate. Il rovescio della medaglia è la stessa facilità con cui, in Rete, informazioni non corrette si conservano e rispuntano fuori con i motori di ricerca. Se il giornalista non le verifica, ancora una volta, l’errore si ripete.

Quello che sembra un limite, invece,  è  il “punto” in cui il controllo delle notizie diventa una pratica democratica: alla fine del processo, quando già sono state pubblicate.

Nell’era del Web, dice Beato, i giornalisti sanno che in ogni momento il loro lavoro può essere esaminato. Accadeva anche prima, certo, ma l’errore sarebbe rimasto, nella maggior parte dei casi, oggetto della sola discussione interna alla redazione. Oggi il rischio è quello della derisione pubblica.

Allora, è nella somma di questi fattori che l’accesso diffuso alle vie del fact-checking fa bene al giornalismo: consegna maggiore responsabilità.

 

 

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