Giornalista e pure un po’ geek

In tutte le redazioni c’è il collega geek, quello a cui ti rivolgi per risolvere le rogne tecnologiche o provare a  interpretare i messaggi criptici, che all’improvviso appaiono sullo schermo. Ma quando quel collega non c’è?

Leggendo un riferimento di Thierry Crouzet (La strategia del cyborg), mi sono chiesta quanto alto debba essere il mio livello di comprensione di funzionamento delle macchine perché possa davvero utilizzarle al meglio, per “guadagnare in creatività ed evitare sprechi”.

Mentre il mondo dell’informazione cambia continuamente e tende ad abbandonare il processo analogico,  fin dove deve spingersi l’alfabetizzazione digitale di un giornalista? Il racconto di una storia o la comprensione di un fatto, sempre più spesso passano per l’organizzazione di dati. Ma quanto è  necessario saper programmare (e non solo usare) gli strumenti con cui organizziamo quei dati?

Il dibattito è parecchio interessante. Con posizioni molto  lontane sull’urgenza di aggiungere la conoscenza dei linguaggi di programmazione alle abilità di un giornalista del terzo millennio. Ma non è detto che si debba diventare piccoli geni del software. Forse avere una conoscenza di base su come funzionano i computer può davvero aiutare. Magari cominciando con qualche ripetizione dal collega geek a disposizione nella redazione.

 

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