C’è un filo che lega tutte le sperimentazioni di nuova tecnologia, fin dai tempi dei dipinti nelle caverne, ed è il racconto, la capacità di proporre informazioni e cose da comunicare. Nick Bilton, sul blog del New York Times, parte da qui per disegnare l’orizzonte del progresso prossimo (Bilton lo fa presentando gli occhiali di Google. Ma su questo nuovo strumento per collezionare informazioni dal mondo vale la pena, secondo me, farsi un’idea con Massimo Mantellini che ne ha parlato qui e qui).
Se il tema della narrazione resta lo stesso nel tempo, quello che cambia è la velocità con cui le nuove modalità di condividere informazioni diventano un tratto comune nelle nostre esperienze.
Lo spiega con lucidità Stefano Maruzzi, ex country director di Google Italy, nel saggio appena pubblicato “La fine dell’era del buon senso” (su cui credo valga la pena tornare in maniera dedicata). La descrizione del mondo che ci era possibile fino a qualche anno fa, fa notare Maruzzi, ci costringeva – in alcuni casi ci costringe ancora – a prendere decisioni facendo leva sul senso comune, più in generale sul buon senso.
Ma oggi, grazie alla tecnologia, siamo capaci di descrivere il mondo che ci circonda come mai era stato possibile prima. È il “potere descrittivo” di qualsiasi realtà che risiede nelle informazioni. Possiamo misurarle in modo molto più analitico e dettagliato che in passato. E questo ci permette (succederà sempre di più, è la tesi) di costruire previsioni di futuro e fare scelte che siano basate un po’ più sui dati e molto meno sul buon senso.
Eppure, questo scenario non dovrebbe essere dirompente. “I cambiamenti – è la premessa da cui parte questo manager dell’industria dell’IT – non sono una novità, sono sempre esistiti nella storia dell’umanità”. Hanno fatto parte delle culture che si sono generate, quelle entro cui abbiamo costruito, prima, e raccontato, poi, la nostra realtà.
Su questo c’era un bell’articolo sull’Atlantic. Solo prendendo atto dei continui cambiamenti culturali, tenendone sempre traccia, si arriverà a capire che la tecnologia non irrompe all’improvviso dall’alto. Nasce, invece, all’interno di specifiche culture. Ed è in quelle culture che risponde alla necessità di condividere informazioni, secondo la descrizione della realtà che – di era in era- abbiamo bisogno di raccontarci.