Nel nuovo modello di giornalismo locale (o di comunità), «plasmato e influenzato dalle tecnologie, è la comunità a produrre giornalismo», dice Tom Grubisich su Street Fight.
Il modello a cui guarda è quello dell’interazione tra cittadini che – connessi in Rete – hanno accesso a una serie di dati da analizzare, rielaborare e riproporre. Capita che da questo processo emergano suggerimenti per migliorare le pratiche legate a un servizio o a un settore della vita locale.
Il caso significativo a cui fa ricorso è quello della scuola del posto. Genitori e insegnanti – o chiunque sia interessato al tema – possono analizzare i punteggi ottenuti dall’istituto e confrontarli con altri. Condividendo in rete osservazioni e analisi, possono produrre indicazioni da inoltrare a chi dirige l’istituto: soprattutto se il peso della comunità è forte, probabilmente ne terrà conto.
L’esempio è solo uno dei casi in cui accesso e approccio alle informazioni, specialmente in dimensioni marcatamente locali, stanno insegnando ai giornalisti a interagire di più con il pubblico.
Il giornalista deve condividere con la comunità le informazioni in rete, esattamente come fa in strada, al bar o alle riunioni delle scuole del posto. Oggi i cittadini hanno accesso a molti dati sulla quotidianità della vita locale (amministrazione, scuola, commercio) e stanno imparando a condividerli e rielaborarli. E da qualche tempo si stanno sviluppando tecnologie e applicazioni per rendere più semplice l’analisi dei dati, che al momento è riservata soprattutto a chi ha un livello medio-alto di competenze informatiche.
Questo non vuol dire che il ruolo del giornalista perda senso. Piuttosto è da ripensare una funzione, che deve tenere conto di come le tecnologie stanno cambiando l’approccio alle informazioni. Anche di quotidianità. E, soprattutto a livello locale, la sua funzione di mediazione deve farsi carico dell’interazione di singoli e gruppi. Deve imparare a raccontarne il protagonismo di comunità.