Se il giornalista conversa con il (suo) pubblico

«C’è una vecchia certezza che i giornalisti dovrebbero mettere in discussione: non sono più al servizio di un pubblico», dice Christopher Anderson, che insegna  giornalismo e si occupa di nuova cultura dei media.

Sul Web, «un pubblico unitario, stabile e persino geograficamente collocato» non si ritaglia più in modo netto. «Ci sarà sempre un collegamento che non hai esplorato».

Fatti i conti con questa idea, restano da ripensare mille modalità di interazione con quel pubblico che non è raccolto in un luogo preciso.

Uno dei percorsi più interessanti (e secondo me anche più difficili) suggerisce ai  giornalisti di trasformare la narrazione in una conversazione. Tyler Borchers, per Poynter, affronta lo spigoloso argomento delle gestione dei commenti a post o notizie pubblicate. Il titolo del post è un riassunto efficace: How journalist can turn their stories into conversations.

Alcuni consigli e qualche norma di buon senso – che vale in fondo anche nelle conversazioni vis-à-vis – sono utili per gestire i commenti del pubblico e  per costruire fidelizzazione o nuovo interesse. Serve, spiega, atteggiamento accogliente, ma anche rigoroso. «I giornalisti non sono da biasimare per tutto quello che accade nelle sezioni di commento, ma sono responsabili dei comportamenti che consentono di reteirare in quello spazio.»

Col tempo, i lettori diventeranno parte di questa nuova comunità e ne promuoveranno le regole. Diventeranno, insomma, una parte del pubblico di quel giornalista, impegnato in una conversazione collettiva.

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