La memoria delle cose

orologio«Siamo vivi, e dobbiamo anche  ringraziare». Così mi sono girata verso la televisione, recuperando all’improvviso l’attenzione verso il TG che stavo ascoltando in sottofondo. Era un cittadino di Olbia.

Ci ho pensato tanto, come molti altri  in questi giorni, a vedere, ascoltare e leggere di Sardegna. Di un’emergenza che ci riguarda tutti.

Il vero problema siamo noi, scriveva un paio di giorni fa Fabrizio Rondolino su Europa.

Ci ho pensato un po’ di più oggi, forse per questo mi sono girata di scatto. Ché il 23 novembre in Basilicata significa tante cose, e tutte hanno a che fare con un’emergenza: il terremoto del 1980, la marcia contro il deposito di scorie nucleari a Scanzano nel 2003, la nascita dell’università nell’83.

È l’anniversario multiplo della Basilicata, quello in cui ripetiamo anche qui «siamo vivi, e dobbiamo ringraziare».

Abbiamo imparato alcune lezioni, molte altre ancora non le abbiamo capite.

Costruiamo case e scuole sicure, ma al paesaggio e al dissesto idrogeologico non facciamo caso abbastanza; siamo accoglienti, ma senza ferrovie e autostrade; non più arretrati nel Mezzogiorno, ma pochi e isolati, sempre a Sud; qualche volta abbiamo alzato la testa, poi l’abbiamo rimessa giù, in genere perché c’era da lavorare, rimboccarsi le maniche, andare oltre. O perché c’era un’altra emergenza – sociale, produttiva, ambientale –  da affrontare.

Antonella Giacummo, che dieci anni fa era nella marcia dei centomila, da giornalista e da cittadina, racconta:  «Lo confesso, per qualche mese ho vissuto nell’idea che tutto stava per cambiare».

Poi è andata diversamente.

È per questo che oggi devo essermi girata di scatto, è per questo che credo valga la pena ripetere le cose. Tocca a tutti, tocca ai cittadini, tocca ai giornalisti. La memoria, se non è solo un esercizio di celebrazione, serve a imparare le lezioni. Dovrebbe, almeno.

Serve a ricordarci che non dovremmo dover ringraziare se siamo vivi.

 

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