Un patrimonio delle piccole e medie città

persone seduteNel 2010 il sindaco di Instabul, intervenendo al forum dei leader locali, spiegò dove stava andando il futuro, almeno in ambito urbano: «Le piccole e le medie città, quelle che nessuno conosce, cresceranno più velocemente».

La citazione fa parte di un pacchetto di dichiarazioni e punti di vista raccolti da Urbantimes, uno spazio collettivo che si occupa di città e persone.

A scorrere tutte le citazioni (Twenty of the best quote about sustainable cities) emerge la consapevolezza che lo sviluppo dei luoghi arriva  – o può arrivare – lì dove si mette l’attenzione sulle persone, sul loro rapporto con l’ambiente, sulle relazioni tra le persone in quell’ambiente.

Ed è facile intuire che le dimensioni ridotte facilitino la progettazione disegnata sulle comunità. Nelle piccole città è più facile recuperare rete, costruire relazioni, mettere in circolazione idee.

Certo, gli spazi adatti a ciascuno e a ogni cosa è più difficile trovarli che nelle metropoli. In genere bisogna mediare, sperimentare, fallire, ripensare, battagliare. È una negoziazione continua capace, però, di produrre spazi creativi, soluzioni, nuove piccole comunità.

Nel 2008, prima dello scoppio della bolla finanziaria, un gruppo di ricercatori italiani ha provato a spiegare l’apparente contraddittoria coesistenza di un aumento del reddito e di uno scarso benessere collettivo negli Stati Uniti. L’unico fattore in grado di equilibrare la serenità dei cittadini, spiegarono i ricercatori, è il capitale sociale, costruito sui network sociali e nelle relazioni di ciascuno.

Se ne parla nel libro Happy City di Charles Montgomery di cui il Guardian pubblica un estratto: The secrets of the world’s happiest cities.

Che cosa fa di una città il posto ideale in cui vivere? La mobilità, l’incontro tra abitanti, il costo degli affitti?

In molti degli esempi raccolti in giro per il mondo la svolta positiva è arrivata dove le amministrazioni hanno saputo costruire una strategia di cambiamento che coinvolgesse in modo positivo la comunità, lavorando su abitudini, atteggiamento, immaginario.

È un’idea che gli amministratori locali dovrebbero sempre tenere presente. Soprattutto ora che in periodo di campagna elettorale in tanti si prodigheranno a raccontare e proporre le città da cambiare.

È un principio che coinvolge tutti quelli responsabili della crescita delle comunità, politici certo, ma anche giornalisti o formatori.

La spinta maggiore all’innovazione e al cambiamento arriva da un capitale sociale fatto di esperienze, competenze, storie, persino errori.

La spinta arriva quando c’è scambio di conoscenze, quando non c’è isolamento.

La classe dirigente ha la responsabilità di capire che la comunità, quel patrimonio, vuole poterlo utilizzare.

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